Lavoro Dipendente

Licenziamento: la Consulta amplia i termini di impugnazione per l’incapacità di intendere

La sentenza n. 111/2025 della Corte Costituzionale interviene su un tema centrale  per il diritto del lavoro: la decorrenza del termine per impugnare il licenziamento nei casi di incapacità mentale del lavoratore. La norma in questione è l’art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, che stabilisce il termine di 60 giorni, a pena di decadenza, dalla ricezione scritta della comunicazione per  impugnare l’atto, anche in forma extragiudiziale. 

Per la Consulta tale termine deve decorrere dal momento in cui sia provata la piena capacità di intendere e volere del dipendente.

L'intervento è molto rilevante sia per i dipendenti che per i datori di lavoro  e affidando maggiori competenza ai giudici e alle consulenze di parte   potrebbe portare  forse a maggiori   difficolta  nella definizione dei casi, soggetti probabilmente a necessita di perizie di parte..

Ecco i dettagli  della sentenza 

Incapacità di intendere e licenziamento : il caso

Nel caso esaminato, una lavoratrice aveva ricevuto la lettera di licenziamento ma non l’aveva impugnata entro il termine previsto perché, come emerso nel giudizio, era affetta da una grave crisi psichica che le impediva di intendere e di volere. Dopo il recupero della piena capacità mentale, aveva promosso azione giudiziale, ritenendo che il termine dovesse decorrere dalla cessazione dello stato di incapacità.

La giurisprudenza consolidata fino a quel momento non considerava rilevante l’incapacità naturale per sospendere o far decorrere in modo differito il termine di decadenza.  

I giudici si fondavano sul principio della conoscibilità legale degli atti recettizi, come sancito dall’art. 1335 del Codice civile, che presume conosciuto un atto nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, salvo prova contraria di impossibilità di averne notizia senza colpa.

La questione era giunta alle sezioni Unite della Cassazione  nel 2024  e per la rilevanza demandata alla Corte costituzionale.

Interessante notare che la decisione della Corte  costituzionale introduce un correttivo che attribuisce flessibilità al sistema, in presenza di condizioni di incapacità documentata del lavoratore.

 Infatti la sentenza non prevede un diverso  termine decadenziale  rispetto all'ordinario che viene neutralizzato per il tempo in cui il lavoratore si trovi in uno stato di incapacità di intendere e di volere. 

la conseguenza è che, durante questo intervallo, non opera l’onere della tempestiva impugnazione stragiudiziale, la quale può essere validamente omessa. Tuttavia, una volta cessata la condizione ostativa, il lavoratore non ha a disposizione un termine “ex novo” fisso che è sempre  di 60 giorni.

Tale soluzione non equivale dunque a una proroga automatica del termine di impugnazione, bensì a una compressione temporale residuale entro il perimetro dell’intervallo massimo già previsto dalla normativa di 240 per l'impugnazione giudiziale.. 

Le conseguenze per i datori di lavoro

Per i datori di lavoro e i professionisti che li assistono, questa sentenza impone una nuova attenzione nelle ipotesi in cui un licenziamento possa coinvolgere lavoratori affetti da problematiche psichiche, anche temporanee. Pur restando in vigore il principio della certezza giuridica, il rigido meccanismo decadenziale dei sessanta giorni viene ora temperato: il termine non decorre finché il lavoratore non recupera la piena  capacità mentale.

In pratica, il licenziamento resta impugnabile entro duecentoquaranta giorni dalla ricezione della comunicazione, anche se non è stato impugnato nei primi sessanta giorni, qualora il lavoratore dimostri di essere stato incapace di intendere e di volere. 

Sarà dunque il giudice, in sede di contenzioso, a valutare con attenzione la sussistenza e la durata dello stato di incapacità.

Questo comporta, per i consulenti del lavoro e i datori di lavoro  l’esigenza di un’analisi più articolata in fase precontenziosa, tenendo conto anche delle eventuali condizioni soggettive del dipendente. 

Per le aziende, può essere utile rafforzare le procedure di comunicazione e raccolta di eventuali elementi idonei a dimostrare che il lavoratore era nelle condizioni di ricevere e comprendere l’atto di licenziamento, pur nel rispetto della privacy e delle normative in materia di trattamento dei dati sanitari.

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